Verde Alpi

COLLEZIONE DI MARMI ANTICHI “LEONARDO DA VINCI”

VERDE DELLE ALPI

Collocazione: 6A-c1, 6B-a1
Campioni No.: 281, 282, 287, 292, 322

Tipo di roccia: Metamorfica

Località di estrazione: Piemonte e Val D’Aosta, Italia

Descrizione geologica: Oficalciti più o meno brecciate in una matrice di serpentina verde e calcite, attraversate da vene di calcite bianca.

Altri nomi: verde rana
L’estrazione di serpentiniti e oficalciti nelle regioni italiane del Piemonte e della Val D’Aosta è documentata fin dal tardo impero romano, quando queste pietre erano utilizzate per rimpiazzare per pavimentazioni e rivestimenti il più costoso verde antico proveniente dalla Grecia. Vi sono molte varietà di questo materiale che prendono spesso il nome delle zone di cava (verde di Susa, verde Issoire, verde St. Denis, ecc.) e con diversa tessitura dei clasti di serpentina scura e delle vene di calcite. Il nome verde Alpi è spesso genericamente utilizzato per raccogliere tutte queste pietre verdi provenienti da quelle zone alpine. Tuttavia, alcuni autori utilizzano per lo stesso materiale il nome verde rana, talvolta associato e confuso con la serpentinite verde ranocchia proveniente dall’Egitto, che ha un colore più giallastro. Dalla metà del sec. XVI d.C. questi materiali divennero molto apprezzati soprattutto in nord Italia e utilizzati abbondantemente per colonne, pavimenti, vasche e rivestimenti. Si trovano in molte chiese venete, compresa la basilica di S. Marco. La massima produzione di questi materiali si ebbe dopo la II Guerra Mondiale, quando furono esportati in tutto il mondo. Oggi l’estrazione è saltuaria e limitata e la pietra è spesso utilizzata per restauri. A Roma è presente in diverse chiese come S. Andrea della Valle, S. Sebastiano e S. Luigi e nei Palazzi Vaticani. Ottime sepentiniti brecciate con alcune caratteristiche in comune con il verde Alpi erano estratte anche nei dintorni di Genova, in Liguria.
Riferimenti: Collezione Corsi (Oxford) No. 567, 578, Borghini (1989) pp. 294, 295, Price (2007) p. 185, Lazzarini (2012) p. 104, Pullen (2015) pp. 154-156