Pavonazzetto

COLLEZIONE DI MARMI ANTICHI “LEONARDO DA VINCI”

PAVONAZZETTO

Collocazione: 6A-b1
Dimensioni: 50x70 Dimensioni: 50x70
Campioni No.: 99, 133, 134, 135, 136

Tipo di roccia: Metamorfica

Località di estrazione: Iscehisar, Afyon, Turchia

Descrizione geologica: Marmo brecciato a grana media, che presenta clasti bianchi o avorio e bordi confusi e una matrice rosso-violacea ricca di ematite.

Altri nomi: marmor Phrygium, marmor Synnadicum, marmor Docimenium
Il marmo pavonazzetto proveniente dalla regione della Frigia nell’Anatolia centrale fu molto apprezzato dai romani dal tardo periodo repubblicano (I sec. a.C.) fino all’epoca bizantina e largamente utilizzato per rivestimenti parietali, pavimenti, colonne, vasche, sarcofagi e per la statuaria. Alcuni straordinari esempi di statue romane in pavonazzetto sono conservate a Palazzo dei Conservatori e ai Musei Vaticani a Roma. Le cave dove veniva estratto il marmo presso il villaggio di Dokimeion (oggi Iscehisar) divennero presto di proprietà imperiale. L’uso di questo marmo da parte degli imperatori per abbellire i propri palazzi lo rese un materiale molto ricercato e causò la salita della sua valutazione nell’Editto di Diocleziano (301 d.C.) a ben 200 denari per piede cubo, alla pari con il giallo antico. Rivestimenti, cornici ed elementi architettonici realizzati con il marmo riciclato dagli edifici romani nelle epoche successive si trovano oggi a Roma in tutte le basiliche, in moltissime chiese e palazzi nobiliari. Ad esempio le 24 colonne della basilica di S. Paolo, andate in gran parte distrutte nell’incendio del 1823, erano tutte in pavonazzetto. Il nome pavonazzetto datogli dagli scalpellini romani deriva dalla somiglianza della disposizione dei clasti con le piume del pavone. Le cave da cui si estraeva il marmo brecciato sono oggi chiuse, ma nella zona si estrae ancora un marmo bianco chiamato marmo Afyon.
Riferimenti: Collezione Corsi (Oxford) No. 123, 124, 420, 917, Borghini (1989) pp. 264-265, Lazzarini (2006) p. 88, Price (2007) p. 130, Pullen (2015) pp. 106-108