Marmo imetto

COLLEZIONE DI MARMI ANTICHI “LEONARDO DA VINCI”

MARMO IMETTO

Collocazione: 6A-c1, 6B-b1
Campioni No.: 246, 247, 407

Tipo di roccia: Metamorfica

Località di estrazione: Monte Hymettos, Grecia

Descrizione geologica: Marmo calcitico bianco a grana da media a grossolana, tendente al bigiastro, con liste di grigio più scuro parallele e macchie. Può tendere al verde per la presenza di talco.

Altri nomi: marmor Hymettium, greco rigato, marmo cipolla, greco fetido
Il marmo Imetto si estraeva da cave aperte sul lato occidentale del monte omonimo, situato a 11 Km da Atene in Grecia. Il suo uso è documentato da prima del IV sec. a.C per la costruzione di vari elementi architettonici per gli edifici ateniesi. Dopo la conquista della Grecia, le cave divennero di proprietà romana e dal primo secolo a.C. il console Lucio Crasso introdusse questo marmo a Roma, dove fu usato con una certa abbondanza per la produzione di colonne, lastre e architravi. Begli esempi dell’uso di questo marmo in età romana si trovano a Roma nell’Arco di Tito e nell’Arco di Settimio Severo e ad Ancona nell’Arco di Traiano. La sua popolarità scemò in età augustea, quando fu in gran parte rimpiazzato dal marmo lunense (marmo di Carrara). Gli scalpellini romani che riutilizzarono il materiale nei secoli successivi alla caduta dell’impero romano lo chiamarono marmo cipolla o greco fetido per il forte odore bituminoso che emana quando viene spezzato, dovuto alla presenza di acido solfidrico nel reticolo cristallino. Questa caratteristica e l’aspetto generale sono in comune con il marmo proconnesio, con cui può essere confuso. Questo marmo forma le colonne e le pavimentazioni di molte chiese di Roma, quali S. Pietro, S. Maria Maggiore, S. Maria in Cosmedin, S. Anastasia, S. Clemente, S. Paolo Fuori le Mura, S. Pietro in Vincoli, S. Sabina e S. Martino. Le cave del Monte Imetto sono rimaste attive fino ai giorni nostri.

NOTA: Il nome attribuito a questo campione è solo probabile. L’identificazione certa di molti marmi bianchi può infatti avvenire solo tramite studi di laboratorio sugli isotopi.

Riferimenti: Collezione Corsi (Oxford) No. 4, Borghini (1989) p. 249, Pullen (2015) p. 89