Diaspro tenero di Sicilia

COLLEZIONE DI MARMI ANTICHI “LEONARDO DA VINCI”

DIASPRO TENERO DI SICILIA

Collocazione: 6B-a1
Campioni No.: 325, 326, 328, 329

Tipo di roccia: Sedimentaria

Località di estrazione: Custonaci, Sicilia, Italia

Descrizione geologica: Calcari ottenuti dall’infiltrazione di fanghi calcitici in una breccia del tardo Triassico e primo Giurassico. Frequenti sono le fratture, la bioturbazione e l’ulteriore cementazione con calcite color crema.

Altri nomi: libico di Trapani, libeccio antico, breccia pontificia

Il nome diaspro tenero di Sicilia è molto usato nei testi degli esperti per indicare un’ampia varietà di calcari riccamente colorati provenienti da diverse cave nella zona di Custonaci nel Trapanese. Il termine diaspro nel nome di questo marmo non deve ingannare, poiché si tratta di calcari e non delle pietre siliciche con lo stesso appellativo, peraltro estratte frequentemente in Sicilia. Questo materiale fu cavato già dagli antichi romani, ma il suo utilizzo estensivo iniziò in epoca bizantina per proseguire nei secoli successivi. Tutta l’architettura dei palazzi e delle chiese siciliani del periodo barocco fa largo uso di questi marmi, utilizzati spesso anche in altre parti d’Italia per rivestimenti, pavimentazioni e sculture. Lo si trova infatti utilizzato nella Reggia di Caserta, nella basilica di S. Pietro e in molte chiese e palazzi romani. Le cave hanno lavorato ininterrottamente fino ai giorni nostri per l’esportazione del materiale in tutto il mondo e oggi sono quasi tutte esaurite. Il materiale moderno è commercializzato come libeccio di Trapani o breccia pontificia. Faustino Corsi e altri autori indicarono la zona di Taormina come origine di alcune varietà di diaspro tenero, tra cui una chiamata pietra topografica (No. 325) per le molte fratture simili a quella della pietra pavesina, che per completezza è compresa in questa scheda. Il campione No. 326 non è più presente nella collezione.

Riferimenti: Collezione Corsi (Oxford) No. 167, 177, 461, 537, Price (2007) pp. 150, 151, Antista (2009), Lazzarini (2012) p. 98, Pullen (2015) pp. 150-152