Pietra Bekhen

COLLEZIONE DI MARMI ANTICHI “LEONARDO DA VINCI”

PIETRA BEKHEN

Collocazione: 6B-a1
Campioni No.: 321

Tipo di roccia: Metamorfica

Località di estrazione: Wadi Hammamat, deserto orientale, Egitto

Descrizione geologica: Metagrovacca del tardo Precambriano, composta da materiale terrigeno misto. Il colore verdastro è dovuto alla clorite formatasi con il metamorfismo.

Altri nomi: lapis basanites, basanite, basalto verde antico, scisto verde del Uadi Hammamat
La pietra bekhen (dal nome egizio) è una metagrovacca, ovvero una roccia sedimentaria che ha subito metamorfismo, composta da clasti da medi a piccolissimi depositati da correnti sottomarine di torbida. Non è quindi un basalto o basanite, roccia magmatica con cui è stata spesso confusa. Lo stesso luogo di estrazione chiamato Mons basanites dai romani può aver portato a questa confusione. Questa pietra è stata usata dagli antichi egizi fin dall’età predinastica (4000—3150 a.C) e il luogo di estrazione era considerato sacro. Il Papiro di Torino, datato 1150 a.C., è una delle prime mappe geologiche e descrive la spedizione del faraone Ramses IV nel deserto per fare scorta di questa e di altre rocce preziose. Il materiale era usato soprattutto per sarcofagi e sculture di divinità e faraoni e rimase in uso fino all’età tolemaica, a cui seguì il dominio romano sull’Egitto. Dall’età augustea a quella adrianea (I e II sec. d.C) fu estratta attivamente dai romani e, grazie alla sua lucentezza che ricorda il bronzo, divenne la pietra colorata più utilizzata per l’esecuzione di statue. Fu molto usata anche per la produzione di vasi, urne e steli. Molti esempi di questi manufatti si trovano a Roma nei Musei Vaticani e Capitolini o sono stati riutilizzati nelle chiese barocche, come in S. Croce in Gerusalemme a Roma o nel Duomo di Napoli. Dopo l’imperatore Adriano, questa pietra fu sostituita per la statuaria e i manufatti di maggior rilievo dal porfido imperiale, il cui colore rosso porpora aveva significati profondi nell’iconografia dei fasti dei sovrani. 
Riferimenti: Collezione Corsi (Oxford) No. 676, Borghini (1989) pp. 266-267, Lazzarini (2004) p. 79, Price (2007) p. 191, Pullen (2015) p. 102