Marmi nomenclatura

Nomenclatura e classificazione

di Luigi Mastromatteo, adattamento da Francesco Crocenzi

La storiografia romana, pur riconoscendo la grande varietà di marmi, non ne fornisce descrizioni dettagliate, elencandone i nomi con accenni sommari a colore e qualità. Ad esempio, l’editto di Diocleziano del 301 d.C. nomina molti dei marmi commerciati a Roma con riferimento alla zona di estrazione e ne fornisce anche il prezzo di riferimento, ma senza descriverli. Questi nomi, dimenticati con il passare dei secoli, furono sostituiti nel Rinascimento da nuovi nomi ideati dagli “scarpellini” addetti al recupero del marmo dalle rovine; la nuova nomenclatura non corrispondeva a criteri mineralogici o geografici, ma al solo aspetto delle pietre, con l’unica eccezione dei graniti, facilmente riconoscibili per la loro durezza. Ad esempio il nome del serpentino viene dalle picchiettature verde chiaro della pietra che ricordavano le squame di un serpente, mentre l’africano ricordava i colori dell’Africa pur essendo di origine asiatica; in caso di ambiguità il marmo veniva chiamato “traccagnino”, nome di una maschera simile al nostro Arlecchino. A complicare le cose, uno stesso blocco di marmo poteva essere tagliato in modi diversi e ricevere nomi diversi per essere rivenduto ai collezionisti a prezzo maggiorato. La maggior parte di questi nomi vengono ancora oggi usati dagli studiosi.

Una prima classificazione dei marmi antichi arrivò nel 1597 con il trattato Istoria delle Pietre di Agostino Del Riccio, opera su cui si fonderà un secolo dopo il De Antiquis Marmoribus di Biagio Garofalo, che per la prima volta descrive nel dettaglio origine geografica e tecniche estrattive dei marmi. Faustino Corsi, collezionista di marmi vissuto a Roma nel primo ‘800, riuscì ad abbinare le definizioni latine del Garofalo con quelle sue contemporanee, proponendo una classificazione delle pietre basata sulle sostanze di cui sono composte e non più sulla provenienza geografica e inventando sottoclassi divise per colore, luogo di origine o uso antico.

Oltre a Corsi, il Manuale dei marmi romani antichi di Henry Willam Pullen, saggista inglese della fine dell’800, è stato a lungo il principale libro di riferimento per lo studio dei marmi antichi. Il Manuale descrive e classifica nel dettaglio numerosi tipi di pietre, arrivando a contare decine di sottocategorie e fornendone la posizione nelle chiese e palazzi di Roma. L’opera, strutturata alla stregua di un tour della città, è accompagnata da un’appendice in cui figurano espressioni comuni e traduzioni inglesi di parole italiane, per facilitare il viaggio dell’appassionato di marmi antichi.

Nel XX secolo, gli studiosi Gnoli, Mielsch e Borghini hanno pubblicato testi importanti per il riconoscimento e la classificazione dei marmi antichi, ma è stato solo con la riscoperta di molte antiche cave, con analisi geochimiche e petrografiche e con la caratterizzazione di laboratorio dei litotipi, che i ricercatori sono riusciti ad attribuire la provenienza di molti marmi antichi a cave specifiche in Europa e nei territori che circondano il bacino del Mediterraneo.